L'EPOPEA DEL FILM TEXAS '46: - Il campo di Hereford vi saluta! Viva la Repubblica!



I "NON" COOPERATORI, VOLONTARI DELL'ONORE
Luciano Fabris
Nel ricordare le Divisioni dell'Onore e, in generale, le FF.AA della Repubblica Sociale Italiana, "Nuovo Fronte'' - nello spazio consentito - ha rimarcato lo spirito che animava quei Soldati, l'amore per la bandiera - simbolo della Patria - e le motivazioni fondamentali di quella irripetibile generazione che non accettò il tradimento. Tradimento che disonorava, di fronte al mondo, l'Italia e, nei loro cuori, il sacrificio dei Caduti e la compromessa fedeltà nei confronti dell'Alleato. La decisione di continuare a combattere l'invasore fu presa nel solo intento di cancellare il marchio d'infamia che contrassegna inevitabilmente e inequivocabilmente i traditori, i loro compari e chi ne è partecipe.
Già citammo una prerogativa che distingue - una volta tanto ottimamente - gli inglesi. Un loro motto afferma: "Torto o ragione, la mia Patria!''
Soltanto chi è in malafede può sostenere che quanti aderirono alla RSI non lo fecero, esclusivamente, per ridare onore all'Italia affinché i posteri non venissero, all'infinito, bollati come vigliacchi.
I Soldati repubblicani, appartenenti a tutte le Armi, Corpi, Grandi Unità o piccole Formazioni, ebbero a portare una pesante Croce nel nome d'Italia. Letteralmente Croce. Perché si trattò anche di vere crocifissioni.
Marò, Paracadutisti, Aviatori, Legionari, Fanti piumati e Alpini, Arditi e Ausiliarie, in una atmosfera di decisa ribellione all'onta di quell'infamante "to badogliate'' - che si leggeva negli sguardi sia del nemico sia dell'Alleato - accorsero all'appello del Maresciallo Graziani.
Ma non furono soli.
Non erano soli.
 
 
    A migliaia di chilometri, lontani dalla Patria, rinchiusi tra il filo spinato, guardati a vista da aguzzini (in uniformi "alleate'', dal grilletto facile e abilissimi anche con mazze da baseball), gli italiani in prigionia di guerra soffrivano da anni l'inumano trattamento loro riservato. Sparatorie, uccisioni, bastonature che, spesso, portavano alla morte; fame - tanta fame - malattie, assenze di notizie da casa, in totale dispregio delle leggi internazionali dell'Aia.
    Ciononostante i nostri P.O.W. avevano mantenuto un contegno fiero e dignitoso, come si conviene a soldati di razza. Nel Texas, in Arizona, in Arkansas, così come in India, nel Kenia, in Egitto, Algeria, nel Sud-Africa, Rhodesia, Marocco ecc. i giorni, i mesi, gli anni passavano nell'inedia spesso interrotta da pesanti punizioni originate anche da inezie o causate da qualsiasi motivo.
    Settembre 1943. In uno di quei giorni sempre uguali - pieni di ricordi, di sogni, di speranze - arrivò come un fulmine a ciel sereno, la tragica notizia della resa senza condizioni. L'Italia aveva capitolato, la Flotta si era consegnata al nemico e l'Esercito polverizzato in gran parte, deportato dai tedeschi che, traditi, avevano occupato quasi tutta la Penisola. Incredulità, vergogna, lacrime, rabbia, disperazione, albergavano negli animi depressi degli italiani in Patria e di quanti erano segregati dietro l'ormai arrugginito filo spinato. Poi altre notizie trapelarono con cadenza accelerata: i Falschirmjäger avevano liberato Mussolini; era stata fondata la Repubblica Sociale Italiana; si stavano costituendo le nuove Forze Armate repubblicane. Nonostante la lontananza, l'ostilità e l'ironia dei sorveglianti, gioia e fierezza pervasero l'animo dei prigionieri. I loro inenarrabili sacrifici avevano avuto un senso: c'erano ancora italiani pronti a combattere e a morire per cancellare quella pagina nera del disonore.
Senza esitazioni quegli impareggiabili figli d'Italia aderirono moralmente alla RSI poiché, ancor prima della nascita della Repubblica dell'Onore, non avevano accettato la resa di Badoglio e la vergogna savoiarda.
    In breve tempo, su quei Soldati in cattività fioccarono dapprima gli inviti, indi le pressioni, poi le ingiunzioni, le minacce, le prevaricazioni e, infine, le punizioni per quanti si rifiutavano di cooperare con i nuovi "alleati''-padroni, obbedendo all'illegittimo 'governo del Sud' il quale aveva dichiarato guerra (sic) alla Germania. Tutte le richieste vennero sempre ricusate con un indiscutibile "No!''.
    Per quei superbi Soldati, dichiarati 'recalcitrans', vennero allestiti vari campi di punizione, noti con il nome di "Fascists' criminal camps''. Trasferiti in questi 'gironi' che non troppo avevano da invidiare a quelli danteschi, ebbe inizio, per ottantamila uomini, un altro e più pesante calvario. Dove si continuava a soffrire, a morire, a resistere ad ogni sopraffazione o lusinga.
Non è possibile neppure accennare alle storie dei singoli "Fascists' criminal camps'' e alla "vita'' che in essi si svolgeva.
Vale citare almeno qualche "flash'' riferito da "NON'' cooperatori e rimpatriati dopo oltre un anno dalla fine della guerra.
Raccontava l'Aiutante Carlo Fabris come questi straordinari "NON'' ricambiassero l'ospitalità nei lager, appena si presentava l'occasione. Sottoposti al lavoro obbligatorio previsto per i prigionieri di guerra, vennero una volta portati nelle piantagioni di cotone per procedere alla cura e coltivazione della citata pianta. Il risultato fu la distruzione meticolosa e totale delle piantine stesse (il cotone è un componente del fulmicotone, alto esplosivo detonante utilizzato dall'industria bellica)!
    La punizione fu: pane e acqua per più giorni.
    Dopo questa esperienza, vennero adibiti a lavorare in lavanderie per lavaggio e stoccaggio di coperte (destinate alle forze armate americane). I prigionieri si dotarono di lamette da barba! Migliaia di coperte da casermaggio furono tagliate e rese inservibili. All'ora del rancio, ancora pane e acqua.
    Venne poi la pulizia di centrali elettriche. Ma strani cortocircuiti... le mettevano fuori uso! Finale invariato: pane e acqua per giorni e giorni. Tra altri ricordi consimili, l'Aiutante raccontò della costruzione di un campo sportivo autorizzato dal comando del campo. Fatto a regola d'arte, anche con tre gradoni - quali posti a sedere - tinteggiati uno in verde, uno in bianco e l'altro in rosso. L'ingresso, sempre in muratura, rappresentava una grande lettera "M''!
    Nel campo ci fu - un certo momento - grande incetta di monetine Usa d'argento (ad esempio il mezzo dollaro). L'argento veniva poi fuso e colato in stampi atti a modellare i "Gladi'' delle FF.AA. della RSI.
    Dopo l'otto di settembre '43, tutti i "NON'' chiesero e sottoscrissero di essere sottoposti al trattamento eventualmente riservato ai Soldati repubblicani che venissero catturati.
    Lasciamo, a questo punto, la parola all'indimenticato Roberto Mieville - reduce del campo di Hereford - che, nel Suo Fascists' criminal camp, rievoca l'arrivo dei primi Soldati repubblicani prigionieri, che avevano combattuto alla difesa di Roma. È un passo che avvince emotivamente e induce a una forte commozione.
 
"Era venuta chissà come, nel campo, quella notizia. Forse era sfuggita al capitano Pierpont all'ospedale. O l'avevano appresa dalle guardie delle prigioni, quelli che portavano il mangiare ai 'segregati'.
- Arrivano. Arrivano dall'Italia.
- Tutti in agitazione nei campi, per quella notizia. Ed erano corsi rapidamente degli ordini dal campo 4 agli altri campi. Si dicevano tante cose nei box e per il campo. Cose come queste:
- Forse ci sarà qualcuno della mia città.
- Già, tu sei di Treviso...
- Già, di Treviso.. E non ho mai avuto una lettera... Mai... Mai da nessuno.
- Quindicimila ne ha uccisi il bombardamento. Sono tanti!
- E a Roma battevano le mani..
- E Croce? Non hai letto il 'Chicago'? Dice che pregava per la sconfitta...
- Maiale anche lui... Anche lui come Sforza che vuole fare le legioni volontarie per liberare la Patria.
- Mah! Sapremo qualcosa finalmente.
- Sì, qualcosa di più di quel tamburino che batte l'allarmi.
- Quando fu il crepuscolo tutti erano pronti.
(...)
E la tromba, puntuale suonava l'adunata.
- Arrivano alle otto. Suonerà l'adunata.
E la tromba puntuale suonava l'adunata.
Adunata di tutti, secondo gli ordini, fronte al reticolato nord: di là sarebbero arrivati.
Qualcuno salito su una baracca, cercava di scrutare in direzione della pista sabbiosa, verso la ferrovia, per vedere i fari delle macchine. Nei campi cantavano già. Cantavano tutte le canzoni. Quelle vecchie sahariane stinte e anche insanguinate e quei canti: tutta la nostra giovinezza!
Il cielo non era più così grigio e quella striscia d'argento all'orizzonte era divenuta violetta, quando le prime luci ruppero il buio della piana.
- Arrivano!
E all'annuncio, subito i canti si tacquero e gli occhi ansiosi presero a seguire quella lunga teoria di luci che sempre più si avvicinava.
(...)
I nuovi arrivati scendevano e si mettevano in fila. Poi un primo gruppo prese ad avanzare verso i recinti. Tre squilli di tromba echeggiarono. Tre squilli: l'allarmi e i quattro campi si irrigidirono sull'attenti. E nel silenzio divenuto fantastico una voce tremante di commozione lanciò il saluto.
- Il campo di Hereford vi saluta! Viva la Repubblica!
Per qualche tempo ancora vi fu silenzio. E nel silenzio s'udiva il passo cadenzato del gruppo che si avvicinava. Poi una voce che rivelava nel cuore lo stesso tremito di tutti disse:
- Viva l'Italia, fratelli!
Il cuore batteva tanto forte che pareva dovesse rompersi dentro. E dalla colonna che si andava sempre più ingrossando, cominciarono a cantare. E per ascoltare quel canto si fece silenzio. Era un canto nuovo e pieno di passione. Era il canto della "Xa Mas''. Con il cuore sospeso, si ascoltavano quelle parole. Gli occhi, già umidi per quel commovimento intimo, determinato da tanta passione da tanti ricordi, non seppero trattenere le lagrime quando quel canto disse:
'... Nostri fratelli prigionieri o morti
noi vi facciamo questo giuramento
noi vi giuriamo che combatteremo...'
La Patria non aveva dimenticato, dunque. E mentre il cielo si riempiva di stelle, tutti, con i nuovi, presero a cantare:
'... Quando l'ignobil otto di settembre...'
I riflettori si accesero e infine gli M.P. spalancarono il cancello. E al passo, perfetta, entrò la colonna che cantava. E dalla testa della colonna uno corse avanti e gridò:
- Vi portiamo l'abbraccio della Patria!
E tutti corsero a braccia aperte. E mai abbraccio fu più forte e tenace. A lungo durarono i canti, quella sera indimenticabile del settembre '44.
(...)
E ricordava che, tra quei "nuovi'' venuti c'era il G.M. Sandro Tognoloni - Medaglia d'Oro al v.m. sul campo - Btg. "Barbarigo'' della Xa.
Nei "Fascists' criminal camps'' si continuava a infierire sul problema della cooperazione. Anche sui moribondi!
 
Rievoca, ancora, Mieville:
 
"A Marana nell'Arizona, c'era un altro campo di non collaboratori. E c'era anche un ospedale dove ricoveravano gli ammalati di t.b.c. che non avevano aderito alla collaborazione. Se avessero aderito li avrebbero mandati nel Colorado o a Santa Fè dove l'aria è buona e non lì nell'Arizona dove il clima era soffocante quasi quanto quello della depressione di El Cattara.
In uno dei wards dell'ospedale c'era un tenente che stava per morire. Già da molto tempo lo stavano torturando perché collaborasse. Ogni sorta di cose gli dicevano. Che la famiglia sua ora era sotto gli americani e che se lui rimaneva in quell'atteggiamento ostinato l'avrebbe molto danneggiata. Ma il tenente non ne voleva sapere. Diceva: 'Non mi importa'. 'Io non mi vendo. Resto quel che sono'. Ora era l'agonia. Al suo capezzale c'era padre Daniele Dal Sasso del V° Bersaglieri e il maresciallo Moriondo, il capo campo.
Ormai aveva avuti i santissimi sacramenti. Sapeva che stava per andarsene e mormorava dolci parole per i suoi di casa. Padre Daniele lo confortava e gli parlava di Dio e della salvezza eterna.
Era sera tarda e l'aria era ancor più calda e opprimente. L'agonia durava frammista a momenti di lucidità piena.
Nel ward entra anche il cappellano americano, don Barbato, con un foglio in mano: l 'I promise', la scheda di collaborazione, e si avvicina al moribondo e gli dice: 'Salvati... salvati e salva i tuoi.. firma...'
Padre Daniele Dal Sasso insorge inorridito. 'Non bestemmiare... non bestemmiare ...', ma il prete italo-americano non se ne dà per inteso e insiste, insiste con le parole più atroci e tortura gli ultimi attimi del moribondo con un insistente 'Collabora... collabora... collabora'.
La morte libera finalmente il povero tenente.
L'ha sepolto padre Dal Sasso nel piccolo cimitero dell'ospedale di Marana. E ai suoi compatrioti hanno proibito di accompagnarlo all'ultima dimora. Povero camerata nostro, le tue ultime parole sono state: 'Non mi torturate... Non mi torturate, resto fascista...'.
 
    Il famoso "campo 25''ì in India - noto come Repubblica Fascista dell'Himalaia - dove i prigionieri indossavano orgogliosamente l'uniforme italiana, veniva chiamato dagli inglesi (non certo teneri nei nostri confronti) il "campo dei gentlemen''.
    Dal racconto dell'Aiutante su citato Carlo Fabris.
 
    1946. L'inferno è finito. Dopo cinque anni di prigionia dura, si torna a casa. I "NON'' (sempre guardati a vista dagli armatissimi pellirosse della Polizia Militare), perfettamente inquadrati attendono l'ordine di partire. Davanti allo schieramento il Colonnello USA, comandante del campo, esordisce, all'incirca, così: "La guerra è finita (lo era dal maggio '45 ndr) e voi tornate alle vostre case. E anch'io, finalmente, ritorno alla mia famiglia, nella mia casa. Auguriamoci, tutti, che non ci siano in futuro mai più guerre. Nel salutarvi, questo però voglio dire. Se, disgraziatamente, la mia Patria dovesse, ancora, scendere in guerra contro chicchessia, io vorrei avere ai miei ordini Soldati come voi''.
    Soldati così, se fossero appartenuti a qualsiasi altra nazione, sarebbero stati additati, come si conviene, quali grandi eroi della propria storia. Ma, qui da noi, comandano quegli altri...
    Sicuramente, un giorno, quando l'Italia si riscatterà dall'abbrutimento, questi magnifici "NON cooperatori' saranno onorati e celebrati come i migliori Soldati della Repubblica Sociale Italiana.
 
 
NUOVO FRONTE N. 192 Maggio 1999  (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

 
Non cooperatori
Furono così chiamati da britannici e statunitensi, i campi di concentramento per i prigionieri di guerra italiani che, dopo l'8 settembre 1943, non vollero accettare la collaborazione col nemico.
La scelta dei "Non", se in argomento si potessero fare paragoni, è stata più significativa e meritoria, perché più difficile della scelta per la Rsi fatta da chi si trovasse in Italia ed aveva, quindi, maggiori elementi di giudizio.
Quel rifiuto di collaborazione col nemico, da parte dei prigionieri di guerra, darebbe legittimazione, se ce ne fosse bisogno, alla decisione di quanti, in Italia, vollero continuare la lotta.
Gli alleati (fra loro, contro di noi) si permisero di chiamare "criminali" i non cooperatori, ergendosi a giudici della Storia; chi non era con loro, era un delinquente. Anche se, poi, dimostrarono, in altri modi, rispetto per il rifiuto di collaborazione.
 da "Continuità Ideale'', n° 1 - gennaio 1989, a firma V.B. (vedi PERIODICI)

DOMUS